La Colonia Marina "Decima Legio" di Miramare #07 - Il Palloncino Rosso
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La Colonia Marina “Decima Legio” di Miramare #07

La Colonia Marina “Decima Legio” di Miramare #07

 

© Corriere della Sera

Molti di voi sicuramente l’avranno già riconosciuto…Sì, è proprio lui: il grande Enzo Biagi!
In un articolo scritto per il Corriere della Sera nel maggio 1996, il noto giornalista bolognese (1920-2007) afferma di essere stato a 13 anni «a Rimini alla colonia marina della X Legio».
Il suo ricordo di quell’esperienza è molto forte e non bellissimo, tanto che spesso ne ha parlato nei suoi libri e articoli. Ascoltiamolo dunque dalle pagine de L’espresso (19/07/2001):
«Ci ho pensato. Ho visto il mare, la prima volta, dopo le elementari. Colonia della Decima Legio, Rimini. Balilla. Grado: capo squadra. Se ci ripenso, sento un acuto odore di marmellata gelatinosa, in mastelli. La merenda tra quei capanni. Con tutta quella sabbia; almeno ci fossero i cammelli, pensavo. Non so nuotare, e anche adesso faccio finta di giocare coi bambini che si tirano il pallone verso la riva. Mio padre venne a trovarmi una domenica, con il treno popolare. Portava camicia, cravatta e giacca. Non si slacciò neppure il colletto. Ci sedemmo in un angolo, noi due soli. Aveva, infilata in tasca, una bottiglia di birra. «Hai sete?», mi domandò. Io mi vergognavo un poco, i miei compagni ci stavano osservando; era goffo, impacciato, così poco balneare, e dissi di no. «Sei contento?», mi chiedeva. «Vi divertite?». A me sarebbe piaciuto tornare a casa, andare a Bologna con lui, ma aveva pagato 120 lire, il medico aveva detto che era una buona cura per la gola, disse che l’acqua salata e lo iodio facevano bene, e gli raccontai che avevo vinto la gara di corsa. In valigia, gliela mostrai, c’era la medaglia, con il duce con l’elmetto».
Nel libro L’albero dai fiori bianchi (Rizzoli, 1994) aggiunge altri particolari:
«Ospitava molti bambini di famiglie bisognose e con le tonsille gonfie: allora di solito le strappavano, qualche volta il dottore diceva: «Ci vuole il mare».
Era come andare soldato: un addio alla casa e alle care abitudini, e avanti in fila per due. I vagoni del treno avevano i sedili di legno, le madri sui marciapiedi sventolavano i fazzoletti e piangevano. Eravamo tutti in divisa e nella valigetta la mamma aveva messo la biancheria con le mie iniziali ricamate con il filo rosso: «Non la perdere, è tutto quello che hai».
Le vigilatrici comandavano con modi energici e dispettosi: bagno, dormire, passeggiata, gabinetto, merenda. Come in caserma. Vedevano le altre ragazze sulla spiaggia che scherzavano con i giovanotti e la sera si sentiva un’orchestra lontana; le bidelle inseguivano il motivo, canticchiavano: «Tango, per chi non sa l’amore, / tango sei come un laccio al cuore». Soffrivano.
Io ero molto triste, molto solo. Mia madre si era raccomandata: «Non dimenticare le orazioni», ma mi veniva in mente la mia famiglia e faticavo a prendere sonno. Quel mese fu lunghissimo […]».

In un altro articolo scritto per Oggi (agosto 1981), in occasione del primo anniversario della strage alla stazione di Bologna, lui ricorda che dai quei binari partivano «i lenti treni con le locomotive a vapore che hanno reso felice la mia infanzia»; ma tra quei treni vi erano anche quelli «per Rimini, per le colonie marine dei balilla […] fu il primo distacco dalla famiglia, e la prima visione del mare: forse è per questo che tutte le spiagge, per me, hanno il sapore della lontananza».

(Nell’immagine Enzo Biagi ritratto nel suo studio in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, nel 1981; © Corriere della Sera)