12 Lug La Colonia marina Bolognese di Miramare #01
In che condizioni era la Colonia Bolognese nell’immediato dopoguerra?
Prima di rispondere a questa domanda facciamo un piccolo riassunto: voluta e inaugurata dalla Federazione fascista bolognese “Decima legio” nel 1932, la Colonia passò alla GIL (Gioventù Italiana del Littorio) nel novembre 1941, dopo che nell’aprile dello stesso anno era stata presa in affitto dall’Esercito per essere adibita ad ospedale militare. Lo stesso Esercito lasciò l’edificio solamente nel dicembre 1943, ovvero diverse settimane dopo l’armistizio; nello stesso periodo frattanto la Colonia era passata all’Opera Nazionale Balilla di Bologna (la GIL era stata sciolta dopo la caduta del Fascismo). Quindi arrivarono i Tedeschi, che la usarono più che altro come deposito materiali. Dopo la Liberazione, gli Alleati (Inglesi e Americani) vi imprigionarono i soldati tedeschi. Secondo alcune fonti (in particolare L’Unità, 23/07/1947) pare che in questa colonia fossero internati i Corpi femminili di sabotaggio e spionaggio della R.S.I.
Gli anni ’40 furono dunque anni travagliati per la Colonia Bolognese di Miramare – e non solo per lei. Fu restituita dagli Alleati al nostro esercito solamente nel giugno del 1947, ben due anni dopo la fine della guerra; quindi tornò in mano al Commissariato per la Gioventù Italiana, che nel frattempo aveva ereditato i possedimenti della disciolta Gioventù Italiana del Littorio.
Ma in che stato fu riconsegnata la Colonia?
Tra il 1948 e il 1951 l’Ufficio Tecnico del Comune di Bologna curò tre perizie sui danni di guerra, per un totale di Lire 36 milioni: nelle minute conservate all’Archivio di Stato di Rimini, il Genio Civile evidenziava come «per le azioni belliche conseguenti al passaggio del fronte e per le susseguenti occupazioni militari la Colonia ha subito gravissimi danni nelle strutture dei fabbricati e fortissimi danneggiamenti agli impianti speciali».
In quegli anni dunque si eseguirono i lavori di ripristino della Colonia, tuttavia la comunità bolognese non stette a guardare: già nell’estate del 1945, ancora vivo il ricordo della guerra, il prof. Longhena, Commissario agli Ospedali della città felsinea, richiamava l’attenzione proprio sulla necessità di far ripartire le colonie. A suo dire infatti, nonostante le ovvie difficoltà di molte amministrazioni locali, le spese per l’assistenza all’infanzia erano da intendersi come «inderogabili», perché da troppo tempo era rimasta «abbandonata o rallentata». Auspicava quindi l’intervento della Croce Rossa americana, che già aveva creato colonie e ospizi, e salutava con favore l’avvio di un nuovo sodalizio, l’UDI – Unione Donne in Italia, «composto di donne piene di energie e desiderose di fare» e «disposto a superare tutte le inerzie e misoneismi». Affermava inoltre con forza che «chi ha, deve dare, quando il Paese soffre» alludendo al fatto che durante la guerra qualcuno si era arricchito ingiustamente e perciò era giunto il momento di rimettere in circolo lo «smodato guadagno»: a tal proposito citava come esempio un signore di Reggio Emilia che aveva messo a disposizione ben 150 milioni per erigere un ospedale, dunque non si potevano trovare «poche migliaia di lire necessarie per far rivivere i nidi gioiosi della fanciullezza»?
Passiamo all’estate successiva (1946): dal periodico Rinascita apprendiamo che quell’anno per soggiornare in una pensione al mare occorrevano circa mille lire al giorno pro capite, ovvero lo stipendio medio di un mese poteva bastare a malapena per dieci giorni. Pertanto i “poveri” bolognesi dovevano accontentarsi delle «sassose rive del Reno o del Savena»! In tale contesto particolarmente importanti diventavano le istituzioni benefiche come le colonie marine, perché dopo anni di stenti le giovani generazioni necessitavano più che mai di aria buona, di luce e di mare.
Ma c’era un ostacolo inatteso: nella Colonia di Miramare, infatti, erano ancora ospitati i prigionieri tedeschi, responsabili delle sofferenze dei bambini che avrebbero meritato di popolare quella struttura. Si auspicava pertanto, d’intesa con le autorità alleate, un immediato trasferimento dei malati in luoghi più attrezzati, per dar modo a qualche migliaio di fanciulli di godere della vita marina.
Quella preghiera venne almeno in parte esaudita: la Colonia non fu liberata (vedi sopra), in compenso si organizzò nel mese di luglio un improvvisato campeggio sulla spiaggia di Riccione, con l’aiuto dell’ANPI, dell’UDI e dello stesso Comune rivierasco. Il Genio civile mise a disposizione 200 brande, mentre il Comando inglese 25 tende: il tutto per 600 bambini divisi in tre turni. Così lo stesso giornale che un mese prima aveva titolato “Bimbi senza mare” ora poteva ben affermare “Bimbi al mare”!
(Fonti: Rinascita, 20/6/1945, 18/6/1946, 11/7/1946; Relazione del Comune di Bologna sui danni di guerra, Archivio di Stato di Rimini, Misc. Genio Civile. Si ringrazia la Biblioteca civica Gambalunga – Rimini.
Nell’immagine di copertina: bambini di Castel San Pietro Terme ospiti della colonia gestita dall’Udi a Riccione, 1946 (dalla rivista Clionet, vol. 2/2018, http://rivista.clionet.it/))