17 Lug La Colonia marina Bolognese di Miramare #06
Colonie…ma non solo. Nel giugno del 1957 la Rivista del Comune di Bologna pubblicava un’ampia inchiesta sulle istituzioni assistenziali della città: l’assessore competente, il dott. Beltrame, doveva sovraintendere a 196 educatori, 106 scuole materne, 56 centri di refezione e 21 ambulatori scolastici. E ciò per quanto riguardava le iniziative permanenti: a queste andavano aggiunte quelle tipicamente estive, le colonie appunto. Con un bilancio di circa un miliardo di lire, la macchina comunale poteva assistere 11.000 bimbi d’inverno e 6.000 in estate.
Nel 1956 era stata inaugurata una nuova istituzione, la “Casa al mare della madre e del bambino”, per accogliere gratuitamente i piccoli in età prescolare (ovvero prima dei 6 anni) sempre in un’ottica profilattica. Il nome era dovuto al fatto che, trattandosi perlopiù di lattanti, era necessario ospitare anche le madri: l’edificio, una palazzina di tre piani, sorgeva a Rivazzurra e aveva una capienza massima di 40 madri e 70 bambini. Per l’ammissione era richiesta vaccinazione antivaiolosa e antidifterica, e questo valeva ovviamente anche per il personale; stessa procedura per tutte le colonie, sia marine che montane.
Spostandosi quindi nella vicina Miramare, l’inviato del Comune affermava con una certa enfasi che «chiunque abbia conoscenze sull’argomento vi dirà che la Colonia marina del Comune di Bologna a Miramare è la migliore di tutta la riviera adriatica. Il grandissimo edificio, a diverse ali, sorge al limite della spiaggia: sul davanti, verso la strada, si stende per tutta la lunghezza del fabbricato un ampio giardino, chiuso da rete metallica interrotta da grandi cancelli. La prima impressione, una volta entrati, viene dall’ordine e dalla pulizia che regnano perfetti ovunque».
Rivolta ai fanciulli tra i 6 e i 12 anni, essa rispondeva non solo ad una esigenza igienico-sanitaria, ma anche pedagogica: e infatti oltre all’assessorato all’assistenza era coordinata anche da quello all’istruzione. Direttore era il prof. Carlo Nanni, lo stesso che aveva assistito alla riapertura della colonia nel 1947: di formazione militare (era stato alto ufficiale) considerava la disciplina una regola valida per tutti. Lo si poteva vedere ad esempio sul bagnasciuga intento a dirigere il bagno in mare dei ragazzi, percorrendo tutto il fronte della colonia, cronometro alla mano, dando segnali di entrata e uscita dall’acqua!
Il rito del bagno era d’altra parte uno dei più sentiti: divisi in squadre di una cinquantina, i bimbi dovevano attendere sotto i tendoni il segnale del direttore, poi un gruppo alla volta entravano in acqua, sorvegliati dalle vigilatrici e da alcuni bagnini. Un altro bagnino solitamente controllava sopra un moscone, ma non era semplice tenere a bada 800 piccoli scalmanati!
In tutto vi erano 133 addetti, circa 1 ogni 6 ragazzi. Le vigilatrici erano 38, tutte insegnanti negli educatori del Comune e dotate di apposito titolo di specializzazione; ragazze molto giovani anche, tanto che si potevano considerare quasi sorelle maggiori dei piccoli ospiti! Tra tutti i servizi si segnalava in particolare la moderna lavanderia (l’edificio più piccolo separato dal corpo principale verso Riccione) la quale era stata da poco dotata di un nuovo guardaroba al primo piano, realizzato nel 1953.
I ragazzi invece erano ripartiti in ben 32 squadre di 25 unità ciascuna, divisi i maschi dalle femmine, e ogni vigilatrice seguiva la propria squadra dalla sveglia al riposo serale. Durante la notte invece nei dormitori sorvegliavano le bidelle, più anziane ed esperte: erano 16 camerate, ovvero una ogni due squadre.
La scansione temporale delle giornate era più o meno la stessa dell’anteguerra: orari rigidi e direttive precise sulla progressiva esposizione al sole e sulla durata dei bagni. Particolare attenzione era riservata ad alcuni dettagli, ad esempio il berrettino bianco (d’ordinanza all’esterno della colonia) e la pulizia delle mani, quasi maniacale.
Al termine dei turni altri rituali attendevano gli addetti della colonia: disinfezione degli ambienti, revisione degli impianti, inventario del guardaroba (magliette, zoccoletti e mutandine erano forniti ai più poveri) e rifornimento delle scorte di cibo.
(Fonte: Bologna Rivista del Comune, giugno 1957, n. 18. Si ringrazia l’Istituto Parri di Bologna)