17 Lug La Colonia marina Bolognese di Miramare #07
Bologna, aprile 1958: la campagna elettorale in vista delle consultazioni politiche comincia a scaldarsi. I due maggiori partiti di allora, la D.C. di Fanfani e il P.C.I. di Togliatti, non si risparmiano colpi bassi. Tra i punti di dissidio – ci credereste? – c’è anche la Colonia di Miramare.
Facciamo un piccolo passo indietro: cessata la Seconda Guerra mondiale, il complesso passò al Demanio e in un secondo momento tornò alla ex GIL, retta da un Commissario. Nell’estate del 1946 la Colonia era ancora occupata dai prigionieri tedeschi, pertanto fu organizzata una tendopoli di fortuna nella vicina Riccione. L’anno seguente, finalmente, una porzione fu resa accessibile e nel 1948 tornò a funzionare a pieno regime, ospitando turni di 800 bambini.
E qui si inserisce il “fattaccio”: la Colonia, non più sotto insegna fascista ma semplicemente “Bolognese”, venne gestita dal Comune di Bologna per più di dieci anni, pagando un affitto al Commissariato della Gioventù Italiana. Lo stesso Comune peraltro si era fatto carico anche delle spese di riparazione dei danni di guerra (dovuti in realtà più ai vari cambi di destinazione e successive occupazioni che ai bombardamenti), pagando complessivamente per questo servizio gratuito offerto ai bimbi bisognosi, circa 100 milioni delle vecchie lire. Nell’ottobre del 1957 il dott. Valente, amministratore dei beni della ex GIL, notificò al Comune l’intenzione di riappropriarsi della Colonia, con conseguente disdetta del contratto d’affitto. Seguì un fitto carteggio tra i due enti, con il Comune che tentava in tutti i modi di rimandare questa eventualità. Senonché, in gran segreto (stando alla versione dei comunisti che allora governavano la città) il 18 gennaio 1958 lo stesso Valente cedette la Colonia all’Arcivescovo di Bologna, Cardinal Lercaro: l’accordo prevedeva il pagamento immediato di 50 milioni, più altri 150 da versare ratealmente in dieci anni.
Questo il (divertente) racconto de La Stampa: «Il sindaco Dozza, quando ebbe notizia della cessione, per poco non rimase fulminato da una sincope e incominciò a gridare che il cardinale Lercaro gli aveva soffiato la colonia per un boccone di pane dopo che lui stesso, per il Comune, aveva proposto l’acquisto per una cifra assai maggiore, qual è il valore reale di quella immensa attrezzatura balneare».
Il motivo del contendere tra il PCI e la DC era proprio questo: non solo il modo in cui fu gestita la vicenda, ma anche il fatto che i 200 milioni pattuiti erano esattamente la metà di quelli che il Comune era pronto a versare, perché ad un certo punto aveva avanzato formale richiesta di acquisto. Secondo i comunisti Valente, sapendo che i potenziali acquirenti erano due, avrebbe dovuto aprire un’asta pubblica. La DC, da parte sua, sosteneva che la colpa era invece proprio del Comune, che aveva troppo tergiversato (l’interessamento della Diocesi infatti era giunto prima); inoltre pare che una perizia avesse valutato il complesso immobiliare intorno ai 130 milioni, pertanto la transazione poteva ritenersi tutto sommato vantaggiosa per lo Stato. Infine giustificò il passaggio all’ente religioso concludendo che in questo modo i bolognesi non solo non avrebbero perso la vecchia colonia, ma ne avrebbero avuto anche due, dato che il Comune poteva aprirne un’altra.
Il Comune di Bologna tentò l’ultima carta, quella del ricorso al Consiglio di Stato per sospendere la vendita: ma fu tutto inutile…
Corriere della Sera 29/04/1958
(Fonti: La stampa, 22/04/1958; Corriere della Sera, 26/4, 29/4 e 5/6/1958; L’unità, 01/04/1958; L’avvenire, 23-24/04/1958; Il mondo, 15/04/1958. Si ringraziano la Biblioteca Gambalunga di Rimini e la Biblioteca Comunale di Imola)