22 Apr La Colonia marina della Federazione fascista novarese #11
La Novarese rappresenta un tipico esempio di architettura modernista o razionalista del Ventennio: la costruzione infatti è «rigorosamente razionale, nel senso che nessuna parte è stata studiata e progettata per rispondere a criteri stilistici».
Dalla sagoma simile ad un transatlantico (forse un omaggio al Rex varato tre anni prima),era dotata di una torre littoria alta 30 metri, con il nome di Mussolini ben visibile, su cui vennero installati tre fari (rosso, bianco e verde) per essere riconosciuta anche a distanza e soprattutto la notte, quando la stessa torre veniva irradiata di una luce soffusa:
«A chi giungeva a sera su quel tratto della riviera adriatica si offriva uno spettacolo entusiasmante. Larghi fasci luminosi, squarciando il velluto delle tenebre notturne, frastagliavano i contorni di una scena memorabile…».
Durante il giorno, sempre per vivacizzare la struttura, si potevano notare i tendaggi blu e gialli.
Elevata su 5 piani (un sotterraneo e 4 fuori terra), lunga 117 metri e larga 18, con una superficie coperta di 2.841 mq ed una volumetria di 32.695 mc, poteva accogliere mediamente fino a 1.000 bambini (più 200 persone di servizio). L’attrezzatura interna era tra le più moderne: lavanderia, apparecchi di disinfezione ed essiccazione, frigorifero, forno elettrico, impianti idraulici e sanitari, ascensore e montacarichi, telefono della TIMO collegato con la spiaggia. L’acqua proveniva dal servizio municipale di Rimini, ma vennero realizzati anche due pozzi artesiani, dalla capacità di duecento litri al minuto, per alimentare i servizi.
C’era perfino un impianto di riscaldamento, per permettere alla colonia di ospitare anche d’inverno i bambini più bisognosi di cure continuative, pure se in numero molto più limitato (tra i duecento e i trecento secondo le cronache).
A questo scopo era dedicato l’ultimo piano, più ristretto proprio per fare spazio a due ampie terrazze per le cure solari invernali.
Era stato previsto anche un padiglione di isolamento, nella parte retrostante, totalmente autonomo quanto a servizi e diviso in tre saloni, uno per ciascuna delle principali malattie infettive: morbillo, scarlattina e tifo.
Simmetricamente a questo, lato Riccione, vi era l’infermeria, realizzata però solamente nel 1938: la sua ubicazione iniziale (4° piano dell’edificio principale) e le sue dimensioni erano state ritenute inadeguate.
Come materiali per la costruzione furono largamente impiegati il cemento armato, usato insieme al ferro nel telaio strutturale, e il marmo bianco di Carrara, onnipresente nelle rifiniture e nei pavimenti interni (comprese le scale e le rampe) e nel padiglione di isolamento: ottomila metri quadri di lastre di marmo, secondo la stampa dell’epoca! Nel più tardo padiglione dell’infermeria invece vennero scelte le piastrelle di cemento (cementine), probabilmente per questioni economiche.
L’intera struttura, il cui calcolo è stato uniformato alle vigenti leggi per le zone terremotate di seconda categoria, poggia su una platea di calcestruzzo monolitica.
A livello statico, invece delle campate rettangolari, basate su una sola fila centrale di pilastri come nel progetto iniziale, vennero adottate le campate quadrate, aggiungendo una seconda teoria di pilastri: in questo modo ad esempio si ottenne una disposizione più razionale dei letti nei dormitori, creando un corridoio centrale e lasciando liberi i muri perimetrali.
Fonti: “La colonia marina di Rimini della Federazione dei Fasci di Novara”, in Natura (n. 9/1934); L’Italia giovane, 19 maggio 1934; Archivio di Stato di Rimini, Licenze edilizie 1938