23 Mag La Colonia marina della Federazione fascista novarese #20
A regime ospitava fino a 1.000 bambini per turno, tipicamente nei mesi di luglio, agosto e settembre.
Nel 1937 la Novarese, allora gestita dall’Opera Balilla, passò – come d’altra parte tutte le colonie climatiche – sotto il controllo di un nuovo ente, la G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio). Qualche anno dopo, nel 1942, avvenne anche il trasferimento di proprietà.
Nel 1939 fu protagonista, assieme a tante altre colonie della Riviera Adriatica, di un fatto singolare. Vediamo perché.
Il 7 aprile 1939 l’Italia iniziò l’occupazione militare dell’Albania: da molto tempo questa regione era considerata strategica da Mussolini per controllare l’Adriatico e come porta d’ingresso verso l’espansione nei Balcani. E proprio per tenere testa a Hitler che aveva invaso Austria e Cecoslovacchia, Mussolini decise di annettere l’Albania. La resistenza albanese fu modesta e già il 12 aprile fu istituito un “governo fantoccio”: l’Albania divenne protettorato italiano con a capo il Re d’Italia Vittorio Emanuele III.
Il primo giugno, come riporta il Corriere della sera, partirono per l’Albania «dieci medici della G.I.L., destinati, uno per provincia, a scegliere diecimila ragazzi albanesi» per portarli «in Italia, ospiti delle colonie climatiche della G.I.L.». Con l’aiuto di altri medici locali, furono preventivamente sottoposti ad una «bonifica antimalarica e antiparassitaria». Vennero fissati i contingenti e alla Novarese furono destinati 300 bimbi albanesi.
L’8 luglio Achille Starace ispezionò alcune colonie tra Rimini e Riccione: complessivamente erano ospitati sul litorale riminese 1.600 ragazzi albanesi.
E nel mese di agosto, secondo la stampa novarese, erano ancora ospitate 150 bimbe albanesi e «circa un migliaio di organizzati del Comando Federale della G.I.L.».
Donato Di Castri, ospite della Novarese, ricorda benissimo «la nave carica di bimbi albanesi inviati a Rimini dopo l’occupazione della loro terra e la fuga del Re Zog. Non ci fu socializzazione. Ci guardavamo a distanza perché ogni contatto finiva a botte. Però li salutammo con grande enfasi quando partirono» (Corriere di Novara, 26 luglio 2001).